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nebbia giorgio
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International Association of Lawyers Against Atomic Bombs (IALANA), Sezione Italiana Convegno sul tema: “(Il)legalità dell’uso delle armi a uranio impoverito” Firenze, Palazzo Vecchio, Sala dei Dugento, 27 febbraio 2001 , ore 14,15 Aspetti tecnici ed economici delle armi a uranio impoverito Giorgio Nebbia < Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. > “Nell’estate del 1943 sono cessate le importazioni di minerali di tungsteno dal Portogallo: ho perciò ordinato di usare le riserve di uranio, circa 1200 tonnellate, per la fabbricazione di proiettili penetranti, dal momento che era stato accantonato il progetto di costruire la bomba atomica” (Albert Speer, “Inside the Third Reich”, London, Sphere Books, 1970, 1971, pagina 318). . L’uso dell’uranio come metallo per proiettili penetranti era già presente nelle fertili menti degli ingegneri del ministro degli armamenti di Hitler, ma il suo uso è rimasto limitato fino a quando il prezzo dell’uranio è stato maggiore di quello del tungsteno. Solo lo sviluppo delle tecniche nucleari ha reso disponibili grandi quantità di uranio a basso prezzo ed è ripreso l’interesse di usarlo per la fabbricazione di proiettili penetranti. Hanno perciò fatto bene gli organizzatori di questo convegno a saldare la lotta contro la più devastante attività del complesso militare-industriale --- la fabbricazione di bombe atomiche --- con quella contro la diffusione di una “merce oscena”, quell’uranio impoverito, così “efficace” e devastante quando è usato per la fabbricazione di proiettili, divenuto economicamente attraente “grazie” all’impiego, anzi al riciclo, di sottoprodotti delle attività industriali che producono gli esplosivi per le bombe atomiche e i combustibili per le centrali nucleari. Come è ben noto, l’uranio naturale, un metallo presente in natura in molte rocce, sotto forma di sali o ossidi, esiste in vari isotopi, atomi con uguale comportamento chimico, ma con una struttura diversa del nucleo; i principali isotopi sono l’uranio-238, con 92 protoni (sono loro che “governano” il comportamento chimico dell’atomo) e 146 neutroni, e l’uranio-235, con i soliti 92 protoni ma solo 143 neutroni. Se si “bombardano” dei nuclei di uranio con neutroni, i due isotopi si comportano diversamente: l’uranio-238, ma solo in particolari condizioni, ingloba un neutrone e si trasforma nell’elemento nettunio che a sua volta si trasforma nell’elemento plutonio. L’uranio-235 assorbe più facilmente i neutroni e subisce una “fissione”, come si suol dire, trasformandosi in due nuclei più piccoli e in vari neutroni e liberando enormi quantità di calore. I neutroni assicurano la prosecuzione della fissione di altri nuclei di uranio-235, con una reazione a catena; il calore che può essere ricuperato e trasformato in elettricità commerciale vendibile, come avviene nelle centrali nucleari, o può essere fatto liberare in forma esplosiva e devastante, come avviene nelle bombe atomiche. (Solo pochi reattori commerciali producono energia partendo dall’uranio “naturale” e lungo questa via era orientata la ricerca della bomba atomica nazista). L’unico inconveniente della produzione di energia dalla fissione dell’uranio sta nel fatto che l’uranio-235, l’isotopo fissile, è presente nell’uranio naturale in piccola quantità, solo 7 atomi rispetto a 993 atomi di uranio-238: le comuni centrali nucleari funzionano soltanto se i neutroni bombardano dell’uranio nel quale l’isotopo-235 è in concentrazione di almeno 30 atomi per mille; le bombe nucleari richiedono uranio contenente circa 900 atomi di uranio-235 per mille. Poiché la prima applicazione ”merceologica” dell’uranio è stata la fabbricazione delle bombe atomiche, a partire dal 1942 sono stati messi in funzione giganteschi impianti industriali per la separazione dei due isotopi. La tecnica più comune, quella di diffusione gassosa, consiste nel far passare un gas costituito da fluoruro di uranio attraverso degli enormi setacci con fori piccolissimi; attraverso tali fori passa “più facilmente” l’uranio-235, quello utile, che è “un po’ più piccolo” come dimensione, di quello 238. Dopo innumerevoli passaggi si ottiene, alla fine, una corrente di uranio “arricchito” in cui è presente una maggiore quantità di uranio-235, rispetto a quella presente nell’uranio naturale, e un residuo di uranio “impoverito” costituito in prevalenza da uranio-238 (contenente soltanto circa 2 atomi di U-235 su mille atomi totali). Nel corso di mezzo secolo, nei paesi in cui si sono svolte attività industriali di “arricchimento” dell’uranio (Stati uniti, Francia, Unione sovietica, e altri) si sono accumulate centinaia di migliaia di tonnellate di uranio ”impoverito” come sottoprodotto e scoria degli impianti di diffusione gassosa. Altro uranio impoverito è stato ottenuto dal trattamento del combustibile che deve essere estratto dalle centrali nucleari ogni pochi mesi di funzionamento. In tale combustibile “irraggiato” è presente uranio-238 insieme a piccole quantità residue di uranio-235, contaminato da plutonio, da altri elementi transuranici e dai prodotti di fissione, tutti altamente radioattivi. Per molti anni questo “combustibile” usato è stato sottoposto a processi di estrazione chimica per ricuperare il plutonio, materiale e merce utile per la costruzione di altre bombe atomiche, ma ormai di bombe atomiche nel mondo ce ne sono tante che anche il plutonio si vende poco . Il complesso militare-industriale ha così pensato che era un delitto buttare via tutti questi residui di uranio-238 --- la cui massa è stimata, per gli Stati Uniti, di 500.000 tonnellate --- dopo aver fatto tanta fatica e aver speso tanti solidi per l’estrazione del minerale, la sua purificazione, l’arricchimento, eccetera: perché non riciclarlo, come del resto suggerisce l’ecologia ? Gli ingegneri militari si sono così ricordati che l’uranio impoverito si presta bene per la fabbricazione di proiettili penetranti, è migliore del tungsteno e, proprio per il suo carattere di sottoprodotto industriale, è venuto a costare meno del tungsteno. L’uranio metallico, anche quello “impoverito”, è molto pesante (pesa quasi il doppio del piombo, quasi come il tungsteno), ed è piroforico, cioè si ossida con l’ossigeno dell’aria e sviluppa una grande quantità di calore, già a temperature intorno a 600 gradi Celsius. Quando un proiettile contenente uranio urta ad alta velocità un corpo metallico (per esempio la corazza di un carro armato), raggiunge la temperatura adatto per l’ossidazione e il calore liberato è sufficiente a far fondere la corazza di un carro armato o di una fortificazione, bruciando i soldati vicini. Durante l’urto e l’ossidazione una parte dell’uranio si libera sotto forma di finissime particelle di metallo o di ossido che ricadono tutto intorno al punto dell’impatto. L’uranio non solo è radioattivo, ma è anche tossico, come riportano le informazioni disponibili nei trattati di medicina del lavoro (come la nota “Encyclopedia of Occupational Health and Safety”) e come mostrano i numerosi dati epidemiologici relativi agli operai addetti alle miniere di uranio, all’uso commerciale dell’uranio nella fabbricazione delle ceramiche, dei quadranti di orologio, eccetera. L’uso militare dell’uranio rappresenta quindi una fonte di contaminazione delle persone e dell’ambiente; non solo sono contaminati i combattenti, ma anche i combattenti e i civili che percorrono strade o territori in cui permangono residui di polvere di uranio, di questo “metallo del disonore”, secondo il titolo di un recente documentato libro sull’uso militare dell’uranio impoverito. L’uranio impoverito è stato impiegato, come ingrediente di proiettili e missili, a titolo sperimentale, negli Stati uniti negli anni ottanta; i dati disponibili, in parte pubblicati anche in documenti ufficiali degli Stati uniti, hanno confermato i danni ambientali e sanitari di tale uso. Il primo impiego dell’uranio impoverito in combattimento si è avuto su larga scala, da parte degli Stati uniti, nella guerra del Golfo nel 1991 (ne sono state usate circa 500 tonnellate), poi in Bosnia nel 1995 e, nel 1999, è stato usato nella Serbia e nel Kossovo dalle forze Nato. La guerra è sempre terribile e ciascun paese, per vincere, deve uccidere i soldati nemici e distruggere le armi nemiche e i beni nemici: nell’intero secolo passato le guerre hanno sterminato i nemici al di là di ogni ragionevole necessità, hanno ucciso e dilaniato i corpi di centinaia di milioni di civili inermi, hanno usato le armi più raffinate per arrecare dolore e morte. Se si escludono le contaminazioni, della durata di secoli, con scorie radioattive conseguenti le esplosioni di bombe atomiche, e quelle delle giungle del Vietnam con pesticidi persistenti inquinati da diossina, finora le armi impiegate in guerra hanno danneggiato e devastato soldati e civili senza compromettere le future condizioni ecologiche dei territori di guerra. I dati disponibili mostrano che nella guerra del Golfo (1991) il terreno dei combattimenti è stato contaminato da circa 300 mila chilogrammi di finissima polvere di ossido di uranio e che da anni i reduci della guerra hanno manifestato delle misteriose malattie (la sindrome del Golfo); però fino al gennaio 1998 il ministero della difesa americano ha negato che circa 90 mila soldati americani siano stati esposti alla polvere di uranio impoverito velenosa e radioattiva. Nella ricca America i veterani possono fare causa al loro governo, e chiedere indennizzi e risarcimenti (alcuni soldati si trovavano entro carri armati che sono stati colpiti con proiettili all’uranio lanciati per errore da cannoni del loro stesso esercito). Ma chi aiuterà a riconoscere le malattie, dovute ad una così subdola causa, quando compaiono negli abitanti dell’Iraq meridionale, o agli abitanti della ex-Jugoslavia, tornati nelle loro terre; chi li aiuterà a guarire ? Una fotografia diffusa anche da Internet mostra dei bambini che in Kosovo giocano su un carro armato distrutto da un proiettile all’uranio impoverito e coperto dalla polvere dell’arma micidiale: chi sono quei bambini, che sarà della loro salute ? Che sarà della salute di tutte le vittime di questo altro “brillante” frutto dell’economia industriale che non pone freno, se si tratta di risparmiare nelle forniture militari, ai danni sulla salute e la vita di persone inermi ? In Italia il problema è scoppiato perché qualcuno ha denunciato le possibili malattie, dovute all'uranio impoverito, in reduci delle missioni militari in Bosnia e Kosovo. La “scoperta”, da parte dell’opinione pubblica, di tale pericolo, alla fine dell’anno 2000, è stata accompagnata da sconcertanti e direi ridicoli aspetti. I responsabili governativi e militari si sono dichiarati, sorpresi, non a conoscenza dell’arma, il cui uso era stato denunciato sulla stampa, anche in Italia, fin dal marzo 1999. La breve bibliografia riportata alla fine di questo articolo mostra che da anni erano disponibili i risultati degli effetti ambientali e sanitari dell’uso di proiettili contenenti uranio impoverito, il che rende ancora più sorprendenti, se non ridicole, le dichiarazioni del governo italiano secondo cui apparentemente nessuno sapeva di tale uso; gli alleati Nato non li avevano informato, o forse, se qualcosa sapevano non pensavano che potessero essere compromesse le vite dei soldati italiani ? Ma forse le malattie dei soldati non dipendono dalla polvere di uranio impoverito. Solo alla fine dell’anno 2000, sotto la pressione dell’opinione pubblica, sono state avviate delle indagini per accertare dove sono stati usati proiettili o missili contenenti uranio impoverito, quali residui di uranio si trovano sul terreno, quale tipo di uranio impoverito è stato usato, nel dubbio che sia stato usato uranio estratto dal combustibile irraggiato dei reattori nucleari e quindi contenente piccole quantità di uranio-236, un altro isotopo che si forma durante i processi di fissione, e elementi transuranici radioattivi. Nel frattempo l’attenzione per l’uso militare dell’uranio impoverito ha sollevato il problema della commercializzazione di tale uranio anche in settori “civili”, Essendo, come si é detto, un metallo pesante e a basso prezzo è stato usato come zavorra per aerei e barche e solo adesso ci si comincia a chiedere quanto uranio è stato commerciato e dove si trova installato e quali pericoli potenziali comporta: per esempio nel caso dell’incendio di un aereo l’uranio impoverito della zavorra delle ali o della coda può incendiarsi e diffondersi sul territorio circostante ? Davanti alla nuova attenzione per quest’altra applicazione merceologica dell’uranio impoverito alcune compagnie aeree hanno deciso di sostituire le zavorre, contenenti uranio, dei loro aerei, col che si è presentato il problema di dove smaltire tali materiali. L’uranio impoverito, per le sue caratteristiche tecniche ed economiche, ha trovato altre applicazioni commerciali in lega con altri metalli, per esempio per rendere meno penetrabili le corazze di carri armati. Le precedenti brevi considerazioni mostrano che la costruzione e diffusione delle bombe nucleari e delle attività commerciali e industriali legate a tale fabbricazione ha messo in circolazione, molto al di là di quanto potessero prevedere coloro che le hanno decise, materiali radioattivi formatisi, come nel caso dell’uranio impoverito, come sottoprodotti industriali, ma anche altri materiali e sottoprodotti sia delle attività militari, sia del funzionamento delle centrali nucleari commerciali, sia formatisi nel corso di incidenti a impianti industriali (è il caso del grano e di altre derrate alimentari o di metalli e scorie resi radioattivi dalla ricaduta dell’incidente di Chernobyl e messi in commercio fraudolentemente). E’ perciò in circolazione una massa di nuove merci radioattive, che appena adesso si cominciano a riconoscere e la cui massa è destinata ad aumentare. Se si pensa alla confusione nell’informazione del pubblico nel caso dell’uso militare dell’uranio impoverito nei Balcani e alla mancanza, praticamente, di informazioni sulla presenza di merci radioattive, va auspicata una campagna di documentazione sui pericoli per i consumatori derivanti da tali merci. Pericoli che possono manifestarsi anche attraverso l’immissione nelle catene alimentari di materiali radioattivi con conseguenti possibili mutazioni genetiche che possono arrivare al corpo umano. La campagna per indurre i paesi della Terra a rispettare l’articolo VI del Trattato di non proliferazione, il quale vieta non solo l’impiego, ma anche la diffusione e la costruzione delle armi nucleari, rappresenta un importante passo per frenare o almeno rallentare le relative attività militari-industriali e la diffusione dei pericoli per la salute umana e per l’ambiente rappresentati dalla crescente quantità di sottoprodotti radioattivi e tossici. Si pensi che, se cessassero oggi le attività associate ai vari volti delle attività nucleari, ancora per molti secoli le generazioni che ci seguiranno dovranno fare i conti e difendersi dai pericoli dovuti alla contaminazione planetaria provocata dai materiali scatenati, imprevidentemente, dalla generazione della seconda metà del ventesimo secolo. * Indirizzo attuale: Via Nomentana 891, I-00137 Roma, Tel +39-06-822-377 --- Email Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. Alcuni riferimenti bibliografici Patricia Axelrod, “Guide to Gulf War sickness” Grace Bukowski, Damacio A. Lopez, e F. McGhee, “”uranium bnattlefields home and aborad”, March 1993, Depleted Uranium Citizens’ Network, Citizen Alert, P.O.Box 5339, Reno NV 89513, USA D.R. Chambers, R. Markland, M.K. Clark, e R.L.- Bowman, “Aerosolization characteristics of hard impact of depleted uranium penetrators”, Aberdeen Proving Grounds, U.S. Army Armament Research and Development Command, Ballistic Research Laboratory, Publ. ARBRL-TR-02435, 1982 R. Clark, “The fire this time.U.S. war crimes in the Gulf”, New York, Thunder’s Mouth Press, 1992 M. Cristaldi, A. Di Fazio, C. Pona, A. Tarozzi e M. Zucchetti, “Alcune tesi e fatti sull’uranio impverito (DU), sul suo uso nei Balcani, sulle conseguenze sulla salute di militari e popolazione”, Roma, 9 gennaio 2001, con molti riferimenti bibliografici. http://www.iac.rm.cnr.it/~spweb/ Steve Fetter e Frank von Hippel, “The hazard posed by depleted uranium munitions”, Science and Global Security, 8, (2), 125-161 (1994) J.M. Gould e B.A. Goldman, “Deadly deceit, low-level radiation, high-level cover-up”, New York, Four Walls Eight Windows, 1991 International Action Center, “Metal of dishonor, Depleted uranium. How the Pentagon radiates soldiers and civilians with DU weapons”, New York, 1999.Traduzione italiana col titolo “Il metallo del disonore”, Trieste, Asterios editore, 2000; altra traduzione con lo stesso titolo, Centro di documentazione W. Wolff, tel. 041-930-490 Bill Mesler, “The Pentagon’s radioactive bullet”, The Nation, 21 October 1996.Anhe in Internet: http://past.thenation.com/issue/961021/1021mesl.html R.L.Parker, “Fear of flying”, Nature, 336, 719 (22/29 december 1988) Walter Peruzzi, Guerre e Pace, n. 76, febbraio 2001 Stewart Udall, “The myths of august. A personal exploration of our tragic Cold War affair with the atom”, New York, Pantheon, 1994; New Brunswick, NJ, Rutgers University Press, 1998 U.S. Army Environmental Policy Institute, “Health and environmental consequences of depleted uranium use in the U.S. Army”, June 1995, U.S. Department of Energy, “Environmental assessment for the depleted uranium testing program at the Nevada Test site by the U.S. Army Ballistics Research Laboratory, U.S. Department of Energy, Nevada Fields Office, Las Vegas, Nevada, March 1992 U.S. General Accounting Office, ”Operation Desert Storm. 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