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nebbia giorgio
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Non potremmo avere la televisione satellitare, le telecomunicazioni intercontinentali, le mappe terrestri accurate alla decina di metri, lo spionaggio militare, il controllo dei movimenti dei continenti e dei fiumi e dell’inquinamento, se non esistessero i satelliti artificiali
Quando sono stati lanciati i primi corpi capaci di girare intorno alla Terra, è nata una grande era di speranza; se fosse stato possibile collocare su tali corpi celesti artificiali degli adatti strumenti, sarebbe stato possibile avere tutte quelle cose che effettivamente oggi abbiamo.
Quel “se” di mezzo secolo fa è diventato una realtà. Il fatto è che i satelliti artificiali della Terra cominciano ad essere tanti. Questi complicati e sofisticati strumenti, spesso costosissimi, possono restare in orbita anche a lungo, ma ad un certo punto possono uscire dalla loro orbita e rientrare nell’atmosfera terrestre raggiungendo, per l’attrito con i gas dell’atmosfera, temperature altissime che ne provocano la fusione e distruzione; il cielo finisce per essere pieno di frammenti e rottami metallici che vagano per lo spazio prima di ricadere sui continenti o negli oceani, speriamo in zone non abitate. Del resto nessuno sa quali e quanti satelliti artificiali girano intorno alla Terra e chi li ha messi in orbita; non solo le grandi potenze industriali hanno i propri satelliti artificiali, ma anche paesi minori piazzano nello spazio i propri, magari prendendo in affitto razzi vettori di altri che operano come taxi del cielo. Anzi esiste un fiorente commercio di questi trasporti, con investimenti molto grandi perché sono grandi i vantaggi offerti dal possesso di un proprio satellite artificiale.
Si possono spiare i possibili nemici, si possono inviare ad amici e nemici trasmissioni radio e televisive, informazioni e, soprattutto, si possono “vendere” con utili profitti questi servizi. A questo punto sorgono alcuni problemi etici e giuridici. Innanzitutto, così come esiste un diritto alla riservatezza (teoricamente nessuno dovrebbe sapere, se io non voglio, dove passo le mie vacanze e che strada percorro dall’ufficio alla casa), dovrebbe esistere un diritto a non essere osservato dall’alto da non-si-sa chi.
Finora è stato elaborato un diritto alla proprietà privata della casa, ma il concetto di “casa” dovrebbe estendersi non più all’edificio e al terreno circostante, ma dovrebbe comprendere anche il pezzo di cielo sulla verticale.
Ma il cielo di chi è ? Partendo dal principio che noi non siamo “padroni” della Terra la quale, come dice un celebre passo del testo biblico del Levitino, “è di Dio”, Giovanni Franzoni, qualche anno fa ha scritto un libro stimolante e provocatorio intitolato: "Anche il cielo è di Dio. Il credito dei poveri" (Edizioni dell'Università Popolare, Roma).
L’autore invita ad un nuovo comportamento etico verso tutti i beni comuni, compreso lo spazio. Chi trae vantaggio economico occupando o edificando il suolo altrui, sia privato sia dello stato, deve pagare al proprietario un prezzo.
Perché non dovrebbe essere lo stesso quando un privato trae vantaggio economico dall'occupazione degli oceani o dello spazio, beni comuni, senza padrone al di fuori di Dio?
Il fatto è che nei confronti di un proprietario è facile redigere un contratto finanziario; ma a chi deve pagare colui che estrae petrolio o minerali dal fondo di acque internazionali, che trae profitto occupando con satelliti lo spazio?
La risposta di Franzoni è ferma: ai poveri della Terra, a quelli che sono poveri proprio perché sono stati privati di qualsiasi diritto di proprietà su dei beni che Dio ha dato in parti uguali anche a loro.
Per quanto sgradevole (per i ricchi), la proposta di Franzoni ha fondamenti e precedenti giuridici che Franzoni passa in rassegna proponendo l'istituzione di un "Fondo per la Perequazione del Debito e per lo Sviluppo" al quale dovrebbero affluire le tasse prelevate a tutti coloro che traggono un utile dall'uso dei beni collettivi;
il fondo potrebbe così avere un flusso costante, anzi in aumento, di denaro che dovrebbe essere distribuito ai paesi poveri in primo luogo per la cancellazione dei debiti che hanno verso le banche e i paesi ricchi, e poi per un vero processo di sviluppo sociale e umano: lotta all'analfabetismo, lotta alla mortalità infantile, approvvigionamento di acqua potabile, costruzione di servizi igienici e sanitari, accesso alle informazioni.
Più che di soldi, si tratta di una nuova dimensione etica del concetto di proprietà, del rapporto col prossimo di oggi e del futuro. Un risarcimento, quindi, alla comunità umana per i vantaggi che alcuni ricavano vendendo servizi forniti da strumenti collocati “nel cielo”, ma si dovrà anche pensare a risarcire i danni che possono venire dall’inquinamento dovuto ai rottami spaziali, tanto più che i satelliti artificiali e gli strumenti di bordo vengono approvvigionati di energia --- quella necessaria per le trasmissioni, per il funzionamento degli strumenti, per la correzione di orbita --- con pannelli solari o con isotopi radioattivi.
C’è insomma, anche tanta radioattività nel cielo, oltre a quella che gli esseri umani utilizzano e accumulano sulla superficie terrestre.
C’è spazio, mi sembra, per l’elaborazione di un diritto spaziale, tanto più urgente in quanto stanno aumentando le occasioni di occupazione del cielo; per ora è stata sventata, anche per difficoltà tecniche, la proposta, fatta anni fa, di mettere in orbita dei satelliti dotati di armi nucleari pronti al contrattacco in caso di un attacco nemico (ricordate le proposte, non solo di fantascienza, di “guerre spaziali” ?), ma il continuo mutevole volto della violenza e dei conflitti induce a pensare che si moltiplicheranno gli strumenti di controllo e contrattacco posti in quel cielo che dovrebbe essere riservato alla luce delle stelle e al silenzio.